Perfettamente conosciuti

Tutti noi, almeno qualche volta, abbiamo provato disappunto e amaro stupore scoprendo di essere stati fraintesi nelle nostre parole, azioni proprio da qualcuno che, a ragione o a torto, sosteneva di conoscerci “come le proprie tasche”, di capirci a fondo e addirittura di saper intuire i nostri pensieri e prevedere le nostre reazioni. Qualche volta invece ci siamo dovuti rammaricare ammettendo con triste meraviglia di aver commesso clamorosi errori nel valutare le motivazioni profonde delle scelte e degli atteggiamenti di amici o familiari che ci apparivano come dei “libri aperti”, le cui pagine non ci avrebbero riservato alcuna sorpresa né ci avrebbero nascosto alcun segreto.

Se ci sforziamo di guardare a noi stessi e agli altri con umiltà, dobbiamo rinunciare all'illusione - o forse alla presunzione - di poter percorrere con disinvoltura i labirinti del cuore e della mente di quanti ci stanno accanto e, oserei aggiungere, persino quelli del nostro cuore e della nostra mente. Per quanto un'amicizia o una qualunque relazione umana possa essere stata cementata da anni di condivisione di esperienze, emozioni e opinioni, rimarrà pur sempre un margine di inconoscibilità dell'altro, un cantuccio o, piuttosto, un intero ripostiglio di parole non dette, di pensieri sotterranei, di sentimenti che non trovano e, probabilmente, non potranno mai trovare un canale espressivo in grado di descriverli compiutamente. «Il cuore conosce la propria amarezza, e alla sua gioia non partecipa un estraneo» (Proverbi 14:10). La verità racchiusa in questo verso smonta ogni nostra pretesa di saper comprendere al cento per cento il mondo interiore dell'altro.

Alla luce di queste riflessioni, rischieremmo di essere colti da un senso di sconforto e di solitudine se la Parola di Dio non ci soccorresse con un raggio di speranza. Certo, la diagnosi divina sull'animo umano è nudamente e crudamente realistica: «Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa [...]; chi potrà conoscerlo?» (Geremia 17:9). Prontamente, però, giunge la consolante risposta: «Io, il Signore, che investigo il cuore, che metto alla prova le reni [...]» (Geremia 17:10) Quella comprensione totale che invano ci siamo aspettati dalle persone a noi care, quella conoscenza dettagliata e assolutamente veritiera del nostro essere che sfugge persino a noi stessi, quella capacità di penetrazione nelle nostre angosce più intime e nei nostri più occulti desideri che manca anche al nostro più fedele amico, a nostro padre e a nostra madre, appartengono alla gamma infinita delle opere mirabili che il nostro Dio compie quotidianamente in nostro favore.

Possiamo, pertanto, riposare nella certezza dell'onniscienza divina, affermando con serenità insieme al salmista: «Signore, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero» (Salmo 139:1-2). E, mentre contempliamo la perfezione di Colui che ci investiga senza preconcetti e senza fermarsi alle apparenze, possiamo esclamare con gioia e fiducia: «La conoscenza che hai di me è meravigliosa, troppo alta perché io possa arrivarci» (Salmo 139:6).

Chi non ha ancora sperimentato la grazia divina e il perdono dei peccati, però, potrebbe essere spaventato dall'onniscienza di Dio, dal timore che Egli, perlustrando stanze scomode, possa stanare gli “scheletri nell'armadio” che forse per tanto tempo sono stati accuratamente custoditi. Nel messaggio che, tramite il profeta Isaia, il Signore indirizza al superbo re Sennacherib, infatti, si leggono parole che ricordano, per alcuni aspetti, quelle del Salmo 139: «io so quando ti siedi, quando esci, quando entri e quando t'infuri contro di me» (2 Re 19:27): in questo contesto, però, il riferimento all'onniscienza divina suona come un monito minaccioso e tutt'altro che rassicurante nei confronti del sovrano che ha osato insultare il Dio d'Israele (cfr. 2 Re 18:17-35).

Oggi, proprio oggi, il Signore invita ognuno di noi a decidere: se sceglieremo di stare dalla Sua parte, di riconciliarci con Lui attraverso l'accettazione del sacrificio di Cristo, godremo del diritto di diventare Suoi figli, di essere chiamati Suoi amici. La Sua onniscienza, allora, non ci atterrirà né ci metterà in imbarazzo, anzi costituirà per noi un rifugio di pace e conforto quand'anche ogni altro riparo di umana comprensione e solidarietà dovesse venire meno. Desidereremo, inoltre, conoscere sempre di più Colui che ci conosce cosí a fondo e ognuno di noi, bramando il giorno in cui potrà vederLo faccia a faccia, proclamerà con entusiasmo: «ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto» (1 Corinzi 13:12).